Attivista e ambientalista indiana, è considerata la massima teorica di una nuova disciplina: l'ecologia sociale.
Messa da parte la fisica quantistica, materia in cui è laureata negli USA, e tornata in India si dedica alla difesa dell'ambiente dopo aver osservato le terribili conseguenze ambientali e sociali dei programmi di sviluppo finanziati dalla Banca Mondiale: la costruzione di una grande diga sull'Himalaya aveva trasformato il paesaggio verde e ricco d'acqua in un groviglio di strade, bidonville, inquinamento e miseria, sia economica che umana.
Nel 1982 ha fondato nella sua città natale il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali, un istituto indipendente che cerca di affrontare i principali problemi dell'ecologia sociale in collaborazione con le comunità locali ed i movimenti sociali.

Vandana Shiva fa parte del movimento di donne asiatiche, africane e sudamericane di opposizione alle politiche di aiuto delle istituzioni internazionali e propone vie di sviluppo alternative alla logica di mercato, in armonia con le realtà locali. L'aspetto femminile è un elemento fondamentale del lavoro di questa studiosa che ritroviamo nella sua opera più importante e popolare, Terra Madre. Sopravvivere allo sviluppo, nella quale sottolinea l'importanza del “principio femminile” della natura come produttrice di vita e affronta diversi aspetti della globalizzazione così come la conosciamo, proponendo uno sviluppo che tenga in considerazione le tradizioni e la cultura indiani.

In quest'opera l'autrice denuncia le conseguenze disastrose che il cosiddetto "sviluppo" ha portato nel Terzo Mondo. Lo sviluppo, o piuttosto il "malsviluppo", come lo definisce la scienziata, anziché rispondere a bisogni essenziali minaccia la stessa sopravvivenza del pianeta e di chi vi abita. Le conseguenze dello "sviluppo" sono la massiccia distruzione ambientale, un enorme indebitamento che spinge i paesi a fare programmi di aggiustamento strutturale basati sulla scelta di spendere meno in salute pubblica, scolarizzazione e sussistenza rendendo la gente più povera. Si verifica così la distruzione di culture e di altri modi di vivere per far posto a culture competitive il cui grado di civiltà è dato solo dal mercato.
L'autrice individua un forte legame tra donne e natura e come questo stia cambiando a causa di scelte dettate dalle necessità di una crescita industriale all'interno di un contesto sociale patriarcale, dunque maschile. Lo sfruttamento delle risorse naturali, delle foreste, dell'acqua, sta cambiando l'economia rurale delle popolazioni indiane che prima era sostenuta dall'attività della donna in armonia con la natura e viene interpretato come una violenza nei confronti della stessa figura femminile. La scienza moderna e lo sviluppo industriale sono visti come progetti di origine patriarcale, sviluppati in Occidente che danno origine al capitalismo industriale; tale rivoluzione ha trasformato la natura e i suoi abitanti in macchine per fornire materie prime.
Nei paesi di nuova indipendenza il modello di sviluppo importato dall'Occidente non comprende la natura né la figura femminile: la natura è improduttiva finché non viene utilizzata e la figura femminile, legata alla natura, è considerata di per sé improduttiva; donna e natura diventano in questo contesto concetti passivi sotto il predominio maschile. A suo avviso invece "le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte". Per il patriarcato occidentale la cultura è qualcosa separato dalla natura, dalla donna e così gli uomini hanno creato uno sviluppo "privo del principio femminile, conservativo, ecologico" fondato "sullo sfruttamento delle donne e della natura".
Lo sviluppo in questo modo accentua le discriminazioni di genere, immiserendo la condizione delle donne; l'opposizione a questo modello è diventato in India un movimento ecologista e femminista.
Nel 1991 Vandana Shiva ha fondato Navdanya, un movimento per proteggere la diversità e l'integrità delle risorse viventi, specialmente dei semi autoctoni minacciati di estinzione a causa della diffusione delle coltivazioni industriali.
La biotecnologia occidentale ha introdotto sementi sterili geneticamente modificati per accrescerne la resa, renderli più resistenti e limitare così l'uso di pesticidi. Le conseguenze sono state: una riduzione di biodiversità che ha reso le coltivazioni più vulnerabili anziché più resistenti ai parassiti; la dipendenza dei contadini dall'industria agro-chimica dovendo acquistare le sementi ad ogni semina; infine l'appropriazione da parte delle multinazionali dei semi selezionati dal lavoro millenario dei contadini del Terzo mondo, attraverso l'applicazione di un vero e proprio brevetto. Dopo di che  vengono riprodotti in laboratorio e rivenduti a caro prezzo o si obbligano i contadini di quegli stessi paesi a pagare il "diritto d'autore" dei semi, al momento della semina. Anche per aver denunciato tutto questo Vandana Shiva è stata premiata nel 1993 con il "Right livehood award", ritenuto il Premio Nobel alternativo.
Nei saggi sulla biodiversità e sulla biotecnologia scritti come documenti di lavoro per la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, Vandana Shiva denuncia gli interessi che stanno dietro le biotecnologie, contesta che queste possano migliorare le specie naturali e sottolinea i problemi etici e ambientali che pongono. I costosi semi prodotti in laboratorio non si adatterebbero alle condizioni locali e richiederebbero quindi più investimenti in sostanze chimiche e irrigazione. In questo modo i contadini si impoverirebbero a vantaggio delle aziende di sementi, perché alla lunga i maggiori introiti non coprirebbero le maggiori spese. Ciò avrebbe portato centinaia di coltivatori indiani, sommersi dai debiti, al suicidio.
Un'altra battaglia di Vandana Shiva è contro l'uso massiccio di monocolture che, pur garantendo rese agricole elevate, altera gli equilibri del territorio e costringe ad usare dosi massicce di pesticidi, i quali provocano la sparizione di insetti indispensabili per l'impollinazione delle piante (ad esempio api e farfalle). Inoltre, nel suo libro Le guerre dell'acqua, critica l'utilizzo improprio delle riserve di acqua, le quali, invece di venir utilizzate a fini civili dalla popolazione, vengono sfruttate fino all'esaurimento per la coltivazione da parte di alcune aziende di piante idrovore quali la canna da zucchero e l'eucalipto.

 

RIFERIMENTI
http://www.filosofico.net/shiva.htm